Bolivia il giro delle 7 chiese
Bolivia
Con 1 milione 200 mila abitanti, con la sua originale struttura urbanistica ad anelli concentrici Santa Cruz è, oggi, la seconda città per importanza della Bolivia. Qui, negli alti edifici e nelle sontuose ville di periferia, vivono i magnati dell’agricoltura tropicale e dell’industria petrolifera della vicina zona di Camiri. E il “Circuito delle missioni gesuite” costituisce il suo gioiello architettonico, storico e religioso, dichiarato Monumento nazionale negli Anni 50 e Patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 1990. Dislocate a raggiera lungo un arco di alcune centinaia di chilometri le "magnifiche sette" chiese barocche delle Missioni (San Javier, Concepcion, San Ignacio de Velasco, San MigueI de Velasco, San Rafael de Velasco, Santa Ana de Velasco e San José de Chiquitos) sono tutte facilmente raggiungibili in macchina o in pullman da Santa Cruz. E la città è collegata anche per ferrovia con la più imponente e originale delle sette chiese, quella di San José de Chiquitos. Il circuito va percorso seguendo la strada statale che per un primo lungo tratto conduce, a nord, verso la regione amazzonica di Trinidad e del Beni. Poi si stacca, sulla destra, puntando verso la cittadina di San Ramon e quindi verso San Javier che fu la prima missione gesuita sorta nel 1691 in territorio boliviano e ha il privilegio di possedere la più bella delle sette chiese barocche "inventate"dai gesuiti, tre secoli fa, nelle pianure e sulle colline dove un tempo scorrazzavano gli indios Guarayos e Chiquitos. Per poterla ammirare in tutto il suo splendore, la chiesa di San Javier va vista in due momenti diversi: all'imbrunire, quando la grande facciata centrale e i portici di legno che la fiancheggiano sono in penombra e invitano al silenzio e al raccoglimento; e poi alle prime luci dell'alba, quando la sagoma imponente dell'edificio si staglia sulla piazza alberata e sulle casupole circostanti. In quel momento, i primissimi raggi del sole fanno esplodere di vivacità e bellezza le tinte scure del portale centrale e delle alte colonne a tortiglione e i toni più delicati della parete esterna ricca di rosoni, ogive, disegni geometrici e floreali.Nel momento in cui la struttura massiccia del tempio, concepito e realizzato dall'architetto gesuita svizzero Martin Schmid tra il 1749 e il 1752, viene investita dal forte sole tropicale non si può non provare una forte sensazione di stupore: la chiesa sembra troppo grande, troppo ricca e troppo bella per un paesino agricolo di poche centinaia di anime com'è oggi San Javier.E i ragazzini vestiti di bianco e le piccole figure di donne che attraversano, con passo veloce, il piazzale davanti all'edificio per recarsi a scuola o al mercato, sembrano come smarriti di fronte a qualcosa che li sovrasta.La sensazione di stupore si rafforza quando si varca la soglia della chiesa e ci si trova di fronte alla grandiosità delle tre navate, allo sfolgorio dei dipinti e delle statue, allo splendore dei bassorilievi dorati o dai riflessi argentei dell'altare centrale, del pulpito, delle cappelle laterali e dei confessionali. La preziosità del pavimento di mattoni rossi e la forza rassicurante che emana dal soffitto di legno intagliato completano il quadro. Non c'è dubbio: la chiesa di San Javier fu concepita dai missionari gesuiti con l'evidente intenzione di suscitare negli indios Chiquitos sentimenti di ammirazione e di stupore. E per alimentare la devozione verso un mondo religioso fatto di angeli, santi, martiri, Cristi e Madonne potenti ma misericordiosi, un ordine cosmico nel quale gli arcangeli trionfano su Satana e sul male. Quando, poi, ci si arrampica sull'alto ed elegante campanile di legno, situato di fianco alla chiesa, e si osserva il paesaggio circostante, fatto di foreste, pascoli, acquitrini e basse corline sovrastate da palme, la sensazione che nell'intenzione dei missionari gesuiti la chiesa e le strutture religiose dovessero incutere rispetto e ammirazione in chi le contemplava, diventa palpabilissima. Il distacco tra l'imponenza, la ricchezza e la bellezza raffinata di San Javier e il mondo della piccola comunità agricola che attorno alla chiesa barocca vive e si muove è netto. Ma si attenua di molto quando si parla con la gente e soprattutto quando la si osserva mentre partecipa in silenzio e con estrema attenzione alle cerimonie religiose. Gli indios sembrano stare a loro agio tra le navate imponenti, davanti all'altare sfolgorante di luci e riflessi e a fianco del pulpito e dei confessionali ricoperti di raffinati bassorilievi in legno. Come se fossero a casa loro. Come se quel tempio apparentemente troppo grande, troppo ricco e troppo bello, appartenesse a loro, tanto da sentirsene orgogliosi. Tutto questo farebbe pensare che i missionari gesuiti in quei decenni del Settecento in cui poterono lavorare liberamente compirono un miracolo nel miracolo: costruirono edifici religiosi mirabili per solidità, pregiatezza di materiali impiegati e raffinatezza artistica nel lavorarlo per farne colonne, statue, bassorilievi, soffitti e pavimenti.Ma chiesero e ottennero la collaborazione degli indigeni e riuscirono a inculcare loro la convinzione che si trattasse di opere a essi destinate e di cui si potevano considerare artefici e proprietari. Non si potrebbe spiegare diversamente il fatto che San Javier sia stata costruita in pochi anni e che oltre un secolo dopo, all'inizio degli Anni 80, sia stata restituita alla sua primitiva bellezza dopo decenni di abbandono. Concepciòn, la seconda grande chiesa barocca che si incontra nel circuito, si trova a poche decine di chilometri da San Javier e s'impone anch'essa all'attenzione per la sua struttura imponente (il campanile sfoggia anche un sofisticato e gigantesco orologio ad acqua) e soprattutto per la grandiosità del suo interno; su tutto domina un altare che svetta per oltre 15 metri e che ha la forma di un immenso polittico diviso in tre parti da due ordini di colonne tortili sovrapposte e sormontato da una grande raggiera. All'interno si legge la sigla JHS (Jesus Hominum Salvator): la "firma" delle opere dei membri della Compagnia di Gesù, l'ordine dei gesuiti.Santi, martiri & peccatori In sei grandi riquadri compaiono figure di santi e di martiri e le due classiche rappresentazioni della Vergine Immacolata e dell'Assunzione. A colpire l'occhio e l'immaginazione non sono però le singole figure dai colon e dalle forme volutamente "gridate", ma il quadro d'insieme a forti tinte dorate. Quando il sole, nelle ore calde del giorno, attraversa la grande navata centrale e colpisce l'altare, la luce diventa abbagliante. Per gli indios del Settecento dovette essere una visione fantasmagorica: la potenza del signore dei cristiani. Che quasi sicuramente trovano ancora gli indios di oggi che la domenica mattina lasciano le casupole e le strade fangose del villaggio per rifugiarsi nella "loro" cattedrale. "Loro" perché costruita con il legno duro delle loro foreste, con l'abilità e la dedizione dei loro artigiani e con il lavoro umile ma prezioso dei loro manovali.Concepci6n ha un'importanza particolare perché possiede i laboratori di restauro che lavorano a pieno ritmo per rimettere a nuovo, mantenendone le caratteristiche originali del XIX secolo, le statue di Cristo, della Madonna e dei santi, le prorompenti figure in legno di angeli e arcangeli, le croci e i crocefissi e gli oggetti in metallo (tabernacoli, ostensori, turiboli, aspersori, pissidi) in vetro, come le ampolle dell'acqua e del vino e degli oli santi, o in altro materiale. Dopo San Javier e Concepciòn, situate in un'area agricola, ci si imbatte in una zona prevalentemente coperta di paludi e foreste in cui sorgono le quattro chiese della provincia di Velasco: San lgnacio, Santa Ana, San Gabriel e San Rafael. San Ignacio fu fondata neI 1748 ed era la chiesa più grande e a struttura più elaborata delle altre. Demolita negli Anni 50 e sostituita con un mastodontico e orribile edificio moderno, sta lentamente tornando al suo primitivo splendore grazie agli sforzi e alla dedizione dell'architetto francescano svizzero Hans Roth. È da poco scomparso, ma è stato sostituito da un eccezionale capomastro indigeno. Costruita nel 1721, San Miguel ha magnifiche colonne a tortiglione, un altare in legno scolpito con un San Michele arcangelo in volo, uno sfavillante pulpito dorato, un prezioso campanile in muratura, dalla struttura semplice e austera che contrasta con la ricchezza cromatica e decorativa della grande facciata lignea; San Rafael, costruita tra il 1740 e il 1748, conserva nel suo interno suggestivi dipinti originali a soggetto musicale, ha un pulpito rivestito da uno strato di mica lucente (è un minerale) ed è l'unica delle sette chiese che ha mantenuto la struttura originale delle navate con rivestimento di canne.L'eredità dei gesuiti.La chiesa di Santa Ana, infine, è quella che per il suo pavimento in terra battuta, il tetto di fronde di palma e la struttura semplice e quasi disadorna delle sue colonne di legno, ricorda meglio le primissime chiese costruite dai gesuiti nella zona. In realtà a costruire la chiesa sono stati gli indigeni, dopo la cacciata dei religiosi della Compagnia di Gesù. E il loro fu un commovente atto di omaggio ai maestri così brutalmente allontanati. Nell'immenso piazzale antistante pascolano pecore, mucche, asinelli; e sull'erba del prato i ragazzi giocano a pallone o a rincorrersi, all'ombra delle palme o dei magnifici esemplari di toborochi, gli alberi-bottiglia dal tronco rigonfio che gli indigeni utilizzavano come cisterna d'acqua. Ma la struttura semplice della chiesa e il primitivismo dell'ambiente in cui essa sorge non devono trarre in inganno. Il messaggio culturale dei gesuiti ha lasciato il segno. A Santa Ana esiste una scuola di musica: decine di ragazzi, figli di contadini, la frequentano. E la domenica mattina si esibiscono, durante la cerimonia religiosa, suonando violini, clavicembali, arpe, cornette e altri strumenti che i gesuiti introdussero ai loro tempi. Dal quadrilatero delle chiese della provincia di Velasco bisogna spingersi per circa 200 chilometri a sud per giungere a San José de Chiquitos, l'unica delle sette chiese barocche gesuite costruita in pietra che colpisce per la complessità della sua struttura, per l'essenzialità dei suoi elementi decorativi e per la naturalezza con cui la sagoma imponente si inserisce nell'ambiente circostante e lo sovrasta. La chiesa di San José si trasforma la domenica mattina e in occasione delle feste religiose nel punto di riferimento per la vita dell'intera comunità. E quando le navate della chiesa si riempiono di gente di ogni età e ceto sociale e i canti riecheggiano all'interno della basilica o nella grande piazza antistante, non si può non cogliere e toccare con mano la differenza tra i superbi resti delle chiese barocche delle Riduzioni dei gesuiti in Paraguay - o ancora nella zona di confine con l'Argentina e il Brasile e le sette chiese delle Pianure Orientali della Bolivia: ancora oggi, come nel lontano Settecento, queste ultime sono centri vivi e pulsanti di religiosità e di umanità.
Tratto da Gulliver 11/2000
Pubblicato: 08/11/2000 Letto: 1375 volte